La Fashion Week più bella di tutte è quella di Milano, perché è questa la capitale della moda.
E quella appena conclusa è stata davvero speciale, visionaria e innovativa.
La città è stata un vero e proprio teatro, non solo in passerella ma anche per strada, tra eventi e divertenti sorprese.
Fare un riassunto di tutto quello che è successo e citare tutti i protagonisti sarebbe quanto mai riduttivo e un post non basterebbe, ma qualocosa da dire c’è.
Milano è stata il palcoscenico della creatività più estrosa, divertente e celebrativa di un #madeintaly che ha un valore unico nel mondo, quel saper creare e giocare con colori, materiali e tessuti diversi, quella passione per il proprio lavoro che conserva accuratezza e attenzione particolari per dettagli, accessori senza mai tralasciare quella sartorialità che è solo nostra.
Gucci ha esordito con una sfilata ambientata in un sogno – o in un inconscio? – fatto di immagini e visioni che hanno preso corpo nelle modelle di Alessandro Michele, pioniere del vintage e genio di uno stile in contrasto e in contraddizione al tempo stesso, che ha mandato in scena una donna Gucci rivisitata ed eclettica, fragile e ombrosa, dark e divertente, mixando tradizione e futuro.
Prada invece ha messo in scena una donna bon ton che non rinuncia al comfort e a una sessualità volutamente celata, quasi preservata: gonne plissettate e calzature a pantofola, senza rinunciare a un pizzico di glamour nei dettagli delle piume, come ad affermare la femminilità come la più essenziale delle creazioni.
Marni invece ha scardinato i volumi: spalle enormi, maniche extra long, volumi giganti e morbidi su modelle sottili e fluttuanti in uno spazio labirintico di vetro, quasi in bilico con borse come tasche sui fianchi come a ricordare che ognuno di noi è responsabile del proprio bagaglio e che a seconda di ciò che ci portiamo addosso o dentro, il nostro passo può cambiare.
Questa è stata una delle sfilate che ho apprezzato di più.
La sfilata di Moschino diretta da Jeremy Scott è stata probabilmente la sfilata più dirompente ed emotivamente intensa: in un’atmosfera psico-giocosa, hanno sfilato modelle come bambole di carta, definite appunto paper dolls quasi a dare un senso di bidimensionalità con quelle liguette-etichette che ricordano le bambole di carta con cui giocavo anche io da bambina. Tanto colore, energia drammatica ma potente.
E infine Dolce & Gabbana che ha mandato in passerella modelle uscite dalle favole: tra abiti da principessa e giacche in stile militare, il desiderio è stato il motore di uno spettacolo magico e travolgente, tra velluto e ricche applicazioni sugli abiti, fiori e dettagli curatissimi e vivacemente ostentati, tutto inserito in una jungla celebrativa di tutta l’italianità possibile.
Immagini e momenti indelebili: le labbra glitterate di Gigi Hadid e la cena organizzata da Dolce & Gabbana in via Montenapoleone.
Alla fine di una settimana così sono seguite – e non ancora placate – le critiche da parte di Vogue America sull’assenza di novità per questa Milano e per quel mondo delle fashion bloggers e influencers che secondo la rivista americana fanno più esibizione (e danno) che professione.
Invece penso che il grande messaggio che arriva da questa Milano Fashion Week sia più innovativo che mai: meno seduzione, più affermazione, è tempo di emergere. La donna di questa Milano Fashion Week è una donna che finalmente esprime tutti i suoi lati, tutte le sue identità e possibilità, tutta se stessa nelle varie tipologie, tutta la sua voglia di decisione per la propria vita. Non è più una donna vittima di una mercificazione, anzi: è una donna che dichiara l’affermazione di sé, del proprio ruolo nella società, un ruolo fatto di momenti privati e ufficiali, un ruolo di partecipazione attiva e protagonista, che recupera un passato per costruire il futuro.
Anche la scelta di chiudere la settimana con i designer emergenti porta questo messaggio.
Ed è questa l’innovazione: un bagaglio culturale ed emotivo che si rimette in gioco, che si rivede, che si riveste e si rinnova.
E se tutto questo è mirato a dettare nuove regole dopo averne scardinate parecchie e non vi è intenzione di trasformare questo appuntamento in una sorta di pazzo contenitore di concerti, eventi, feste e divertimento in tutta la città (come ha fatto invece New York), forse chiamarle sfilate è riduttivo, superato e out: questa Milano Fashion Week è stata la dichiarazione più interessante di quanto ci stia a cuore questa grande ricchezza, frutto di un durissimo lavoro e di una costante passione e ricerca per il desiderio che è il nostro #madeinitaly e che ci rende unici al mondo.